Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce

Ci sono dolori che non si possono archiviare, che non smettono mai davvero di battere contro la coscienza come onde testarde. In Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce (La Nave di Teseo), Giuseppe Cesaro compie un viaggio dentro questo tipo di dolore: non per esorcizzarlo, ma per riconoscerlo, abitarlo, dargli una lingua. E in quel gesto così semplice, scrivere alla madre perduta, Cesaro riesce a trasformare un lutto personale in qualcosa che riguarda tutti.

Non è solo la storia di un ragazzo che a diciassette anni perde sua madre, né il racconto di una famiglia che si frantuma sotto il peso della malattia e della morte. È soprattutto una meditazione su ciò che resta: l’eco delle voci, il profilo incerto dei volti, le stanze vuote della memoria che il tempo, impietoso, si diverte a svuotare ancora di più.

Cesaro non cerca facili consolazioni, non costruisce un monumento alla nostalgia: mette in fila parole che sembrano venire direttamente da una ferita mai chiusa, ma le illumina con una dolcezza che sa di gratitudine e di sopravvivenza.